90° della DEDICAZIONE della CHIESA di ABBAZIA

a cura di don Giuseppe

Il 1926, per l’Italia, è l’anno della sempre maggiore affermazione del regime fascista sulla scena politica nazionale e internazionale: le leggi emanate a ritmo serrato ridisegnano lo stile di vita quotidiano degli italiani: dalla letteratura allo sport, dal tempo libero all’impegno sociale, tutto passa sotto il filtro dei collaboratori di Mussolini che appare sempre di più come uno statista illuminato e lungimirante. È l’anno in cui nascono la regina Elisabetta II d’Inghilterra, Fidel Castro, Marylin Monroe, Dario Fo… solo per citarne alcuni. È l’anno in cui muore l’architetto spagnolo Antonio Gaudì, realizzatore della Sagrada Familia di Barcellona, l’illusionista Harry Houdini e il pittore “della luce” Claude Monet.

Il 16 settembre di quell’anno, una solenne e composta processione si muove attorno alle solide mura della chiesa di una piccola comunità immersa nella campagna dell’Alta Padovana, ai margini del Graticolato Romano: è la celebrazione di dedicazione della chiesa. Qui le notizie e le vicende del mondo arrivano più tardi e non sconvolgono la vita quotidiana dei contadini, impegnati come sono a racimolare qualcosa per il sostentamento quotidiano delle loro famiglie, perciò una tale celebrazione è davvero un evento che coinvolge l’intero paese anche perché a presiedere tutta la liturgia è il Vescovo di Treviso Andrea Giacinto Longhin, quasi conterraneo, essendo nato a Fiumicello di Campodarsego, innalzato agli onori degli altari nel 2002.

La comunità cristiana è davvero piccola, non arriva alle mille anime e non è nemmeno parrocchia. Per questo si dovranno aspettare ancora dieci anni.

Ma quei muri odorano di una storia millenaria. I rifacimenti fatti nei secoli hanno nascosto l’identità profonda di quell’edificio sacro entro il quale hanno risuonato i canti gregoriani dei monaci che lì hanno pregato per oltre quattro e più secoli. Il tempo è passato, gli uomini pure. Quella chiesa, no.

Era giunto il momento di un rinnovato impulso pastorale che prendeva a cuore le sorti della povera gente, semplice nei costumi di vita, devota quanto bastava per rendersi conto della mano di Dio che era posata sulla testa delle persone nella fatica del vivere quotidiano.

Quel piccolo fraticello, divenuto vescovo per volontà di Pio X, guidava da oltre vent’anni una diocesi che aveva saputo seguirne le indicazioni e le orme, offrendo tutto ciò che si poteva per far crescere non solo la fede ma anche la cultura e la dignità dei suoi figli e figlie.

Anche una chiesa diveniva strumento di quest’opera. I tempi sempre più cupi che si stavano preparando per l’Italia e il mondo e il ricordo degli anni tristi e tremendi della Prima Guerra Mondiale e, soprattutto, dell’immediato dopoguerra, fecero sì che molti edifici sacri giungessero al loro naturale traguardo: divenire ufficialmente e definitivamente casa dell’incontro dell’uomo con il Signore.

Per questo noi ricordiamo questo anniversario: se gli uomini sono volubili, Dio è stabile in eterno! Lo facciamo con ciò che più ci deve stare a cuore: pregare e pregare insieme. Molti santi hanno posto come prima attività delle opere da loro fondate la preghiera. Noi vogliamo seguire le loro tracce per ricordarci che centro della parrocchia è la chiesa, laddove cielo e terra si incontrano in quella comunione e amicizia che riempie davvero il cuore dell’uomo. Di ogni uomo.

d. Giuseppe

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