XIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO

a cura di don Giuseppe

Prima lettura. Sapienza 1,13-15; 2,23-24

Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l'esistenza; le creature del mondo sono sane, in esse non c'è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra, perché la giustizia è immortale.

 

Il contesto letterario in cui si collocno questi versetti è quello tipicamente sapienziale del paragone tra giusto ed empio. In particolare, al c. 2 l’atteggiamento dei malvagi è descritto in maniera mirabile dall’autore biblico, che li fa parlare in prima persona, lasciando che i loro “vaneggiamenti” li condannino da sé: «[I malvagi] dicono tra loro sragionando: “La nostra vita è breve e triste; non c’è rimedio quando l’uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dal regno ei morti. Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati…”» (vv. 1s.).

Dunque, l’esistenza che non avrà mai fine di cui si parla nella lettura di oggi (1,14s.; la vita con Dio che viene contrapposta alla morte spirituale) è qualcosa che dipende direttamente dalla ‘giustizia’ dell’uomo, cioè dal suo atteggiamento verso la vita intesa come dono di Dio: il giusto, ovvero il sapiente, è colui che si riconosce creatura uscita dalle mani del Signore esempre bsognosa del suo aiuto, che lo «cerca con cuore sincero» (1,1) e non ragiona in modo ambiguo (cfr. 1,3), cercando pretesti per far prevalere su tutto e su tutti la propria forza e il proprio diritto (cfr. 2,10ss.). Quelli che pesano e agiscono così stanno «dalla parte del diavolo» (v. 23), termine con il quale per la prima volta nella Bibbia si allude al serpente tentatore di Gen 3. Il ricorso all’immagine genesiaca getta il discorso sapienziale sullo sfondo di ciò che sta all’origine, ovvero che è costitutivo della natura umana, di quella lotta tra la vita e la morte che si svolge in primo luogo nel cuore di ogni uomo.

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