DOMENICA IV del TEMPO ORDINARIO

a cura di don Giuseppe

Deuteronomio 18,15-20 Mosè parlò al popolo dicendo: Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto. Avrai così quanto hai chiesto al Signore tuo Dio, sull'Oreb, il giorno dell'assemblea, dicendo: Che io non oda più la voce del Signore mio Dio e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia. Il Signore mi rispose: Quello che hanno detto, va bene; io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole, che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dei, quel profeta dovrà morire.

 

Una ben attestata tradizione biblica condivisa dal Deuteronomio fa della ‘profezia’ una delle tre forme di comunicazione della rivelazione divina: Legge, Profezia, Sapienza. Profeta non è chi predice il futuro, ma uno che parla in nome di Dio, quale portavoce della sua parola con la predicazione e la propria persona. La presenza del profeta è allora scomoda, perché spesso accusa e denuncia il male, ma proprio per questo egli è un segno privilegiato della presenza del Dio dell’alleanza in mezzo al suo popolo.

Ecco perché l’iniziativa di far sorgere un profeta è esclusivamente di Dio e non frutto di particolari qualità o di preparazione umana: il profeta sorge in seno alla comunità per azione diretta di Dio: “Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te […] un profeta” (v. 15). Egli riceve da Dio un carisma che lo separa dai modi di vivere consueti e lo mette al servizio di Dio per il suo popolo, per realizzare il disegno divino nell’esistenza concreta del popolo del Patto in disponibilità piena alla parola di YHWH. Le parole del profeta sono perciò ‘parole di Dio’; ne è garante YHWH stesso: “Io gli porrò in bocca le mie parole […], quanto io gli comanderò” (v. 18).

Per il Deuteronomio è talmente alta la funzione di mediazione ‘profetica’ di Mosè (cfr. anche Dt 34,10-12), che da esso parte l’attesa – ben presente nel Medio Giudaismo – dell’arrivo di un “profeta come Mosè” (cfr. Gv 1,21). Questo passo deuteronomico verrà perciò letto dal Nuovo Testamento quale profezia di Gesù, il nuovo Mosè per il popolo dei tempi messianici.

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